Emmanuel - The broken diary - Fourth Season

1.2. L'enigma della filatrice (Come fu che Antonia conobbe Emmanuel)

June 24, 2023 Antonia Del Monaco Season 1 Episode 2
1.2. L'enigma della filatrice (Come fu che Antonia conobbe Emmanuel)
Emmanuel - The broken diary - Fourth Season
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Emmanuel - The broken diary - Fourth Season
1.2. L'enigma della filatrice (Come fu che Antonia conobbe Emmanuel)
Jun 24, 2023 Season 1 Episode 2
Antonia Del Monaco

Ti piace questo episodio? Do you like this episode?

La voce narrante è quella di Antonia (Elisa Gandolfi), che racconta il suo primo incontro con Emmanuel sedicenne. Da quel che si intuisce, un discreto shock per lei, abituata alla quiete sonnolenta del suo lavoro universitario. 
...
2. The riddle of the spinner
The narrative voice is that of Antonia (Elisa Gandolfi), who recounts her first meeting with sixteen-year-old Emmanuel. From what we can guess, quite a shock for her, accustomed to the sleepy quiet of her university work.

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La voce narrante è quella di Antonia (Elisa Gandolfi), che racconta il suo primo incontro con Emmanuel sedicenne. Da quel che si intuisce, un discreto shock per lei, abituata alla quiete sonnolenta del suo lavoro universitario. 
...
2. The riddle of the spinner
The narrative voice is that of Antonia (Elisa Gandolfi), who recounts her first meeting with sixteen-year-old Emmanuel. From what we can guess, quite a shock for her, accustomed to the sleepy quiet of her university work.

- Niente zucchero, grazie.

La donna, una tipica bellezza mediterranea dell'apparente età di venticinque anni, indossa una camicia bianca con le maniche corte a sbuffo che scivolano a scoprire le spalle, lasciando intravedere il florido seno; la vita è serrata da un corpetto amaranto; il cupo colore sanguigno della gonna contrasta con il candore smagliante del grembiule annodato in vita e con l'oro delle spighe, contrappuntato dai papaveri appena raccolti. Indossa un solo gioiello: una collana di corallo con un cornetto appeso al centro.

- Allora?

La cornice è quella di un campo di grano al tramonto. Il dipinto è di un realismo accademico, ma un non so che di surreale rende l'insieme inquietante. La ragazza sorride impercettibilmente, con il braccio sinistro levato nell'atto di reggere una rocca e il destro abbassato a stringere fra il pollice e l'indice la punta di un fuso. Osservando attentamente si può scorgere il filo sottilissimo che collega i due strumenti.

Ecco il punto: l'ambientazione. Non ha senso ambientare quell'attività in un campo di grano. E poi il sorriso: misterioso, allusivo, “come se”. Mi sforzo di leggere il nome dell’autore sulla targhetta in fondo alla cornice: Rudolph Lehmann. Mai sentito, proverò a cercarlo sull'enciclopedia.

Ad un cenno della signora la robusta domestica peruviana si china su di me e con gesti garbati e precisi riempie la tazzina di porcellana decorata con raffinati motivi floreali; poi si ritira nel suo angolo, fra la credenza Luigi XVI e il mancorrente incurvato dello scalone di teak, composta nella divisa azzurra, le mani intrecciate sul grembiule bianco bordato di pizzo, lo sguardo fisso nel vuoto.

- Naturalmente il suo impegno sarà ricompensato. 

- Se la metti su questo piano, mamma, non credo che Antonia accetterà.

- Infatti - confermo.

Non potrei mai umiliarmi fino al punto di vendere le mie prestazioni alla mia futura suocera. Immergo il limone nella tazzina, sempre meno convinta di accettare quella strana proposta; prendo tempo con una domanda generica:

- Che problemi ha?

- Mio fratello non ha problemi, è un problema.

Sorrido della battuta un po' ingenua: Michele sta tentando di sdrammatizzare, com'è tipico del suo carattere bonario. Ci conosciamo solo da pochi mesi, ma il profilo psicologico del "bravo ragazzo" Michele mi è ormai chiaro; uno dei tratti caratteriali più evidenti è l'intenso legame che lo unisce al suo clan familiare, un istinto un po' tribale a mio modo di vedere. Anch'io, come tutti, sono attratta dalla sua profonda positività, ma nello stesso tempo nutro una certa diffidenza per il suo modo di essere solare ed espansivo, così diverso dal mio: so troppo bene che la psiche umana è un pozzo buio e profondo, e in quella di Michele ho potuto intravedere a tratti inquietanti abissi.

In questi mesi ho conosciuto tutta la famiglia Kellermann, con la quale intrattengo rapporti educati e cortesi, tranne il fantomatico fratellino, di cui ho sentito parlare più volte, ma che non ho mai avuto modo di incontrare.

- Intendo i suoi problemi scolastici.

La signora Helena fa cenno alla domestica con un vago ed elegante scintillio del brillante all’anulare destro. 

- Può ritirarsi, Teresa.

Teresa esce. Mi guardo le calze e vedo un filo tirato: aggiusto la gonna a pieghe e incrocio le gambe in modo da nasconderlo. Mi sento in imbarazzo: credevo di essere abbastanza elegante con il mio abito azzurro polvere e le scarpe in tinta, ma la signora Helena ha la prerogativa di farmi sentire sempre inadeguata al suo confronto. 

La padrona di casa attende un attimo, per essere sicura che Teresa si sia allontanata, e poi risponde alla mia domanda:

- È un ragazzo intelligente, se l'è sempre cavata bene a scuola. È solo da quest'anno che ha cominciato ad avere dei problemi.

- Che liceo frequenta?

- Il Gioberti. - risponde Michele - Nostro padre avrebbe preferito il Valsalice, ma lui si è opposto: dice che ci sono troppi figli di papà.

Giudizio condivisibile, se non fosse per il fatto che è stato formulato da un figlio di papà. Quasi tutti gli alternativi di sinistra lo sono, e il fratellino, da quel che ho capito, rischia di essere uno di loro.

- Finché ho potuto - riprende la signora - mi sono occupata personalmente di lui, ma non conosco il greco e il mio latino è un po' arrugginito. Potrei aiutarlo con l'inglese, ma non ne ha bisogno: lo parla correttamente. Conosco abbastanza bene anche la letteratura e l'arte italiane: ho lasciato Utrecht proprio per venire a studiare il Rinascimento toscano. Mi sono laureata a Firenze a pieni voti, forse Michele glielo avrà detto.

- No, mamma, non ne ho avuto occasione.

- Avevo diciannove anni quando mi sono trasferita in Italia.

- La mamma di cognome fa Harmenszoon, lo sai? Come Rembrandt.

- Abitavo vicino alla Pieterskerk, ha presente quella chiesa famosa?

- Non sono mai stata in Olanda.

- Risale all’undicesimo secolo. Il romanico in Olanda è molto raro. Io il romanico ce l'ho nel sangue, sarà per questo che in Toscana mi sono sempre sentita a casa mia.

- E mentre era in vacanza a Punta Ala - interviene Michele - ha conosciuto il giovane Kellermann. È stato un colpo di fulmine, si sono capiti subito.

La signora abbassa gli occhi ed arrossisce leggermente; forse vorrebbe dire altro, ma l'imbarazzo la trattiene. Non trovo le parole per proseguire quella conversazione: riempio la pausa di silenzio con un sorriso di circostanza e un sorso di tè, mentre attendo invano che Michele cambi argomento.

Io non credo nei colpi di fulmine; questa storia sembra presa di peso da uno di quei rotocalchi scandalistici che si leggono dalla parrucchiera o dalla sceneggiatura di un b-movie degli anni Sessanta: il solito industriale italiano in carriera sedotto dalla solita straniera bionda con gli occhi blu Vermeer e un fisico da fotomodella.

Devo ammettere però che la mamma di Michele è una persona tutt'altro che mediocre: è intelligente e gentile, oltre che bella, ama l’arte e la cultura, parla l’italiano con grande proprietà, conservando della sua lingua madre appena una leggera inflessione. Peccato che da tutte queste doti non abbia saputo ricavare nient'altro che la sua attuale condizione di mantenuta di lusso. Valeva la pena di amare così tanto il romanico, per poi finire ad organizzare ricevimenti per signore della precollina di Torino? So da Michele che lo scopo delle loro canaste settimanali è benefico e che la signora si adopera per raccogliere fondi a favore di qualche associazione del territorio, ma non era necessario laurearsi a pieni voti per fare questo. Del resto non capisco perché il caso della signora Kellermann debba infastidirmi tanto. Il tradimento di se stessi, delle proprie ambizioni e della propria vocazione: è questo che mi risulta inaccettabile. C'è una fastidiosa tipicità nell'essere femmina: anche se escludo di poter rinunciare ai miei studi e ai miei interessi per qualsivoglia motivo, questo pensiero mi turba, seguo a stento i discorsi dei miei interlocutori.

La signora tenta di scherzare: 

- Non capisco come ho potuto fare due figli così diversi. Michele non mi ha mai dato problemi, è sempre stato brillante negli studi.

Michele si schermisce con un gesto infastidito della mano.

- Non farmi sembrare un secchione, mamma. Studiavo quel tanto che basta, okay? E poi che vuol dire brillante? È un termine stupido.

La signora sorride:

- È vero, Michele si poteva permettere di studiare poco perché imparava tutto al volo. 

- Anche Emmanuel potrebbe farlo, se volesse. Il punto è che non vuole.

Emmanuel: il nome mi colpisce, trasuda un fascino biblico poco appropriato per un adolescente. 

- Mi domando se non sia proprio il confronto con suo fratello a renderlo così ribelle.

L’ipotesi della signora mi sembra ragionevole, ma Michele la smentisce:

- Non è un ragazzo ribelle, è semplicemente diverso da noi. Certe cose non si ereditano, ci si nasce.

- È uno zingaro.

Michele mi strizza l'occhio:

- Ma è il suo cucciolo preferito.

- Non gli creda, Antonia: una madre non fa differenza fra i suoi figli.

Il copione prende una piega imbarazzante: il ruolo di Filumena Marturano non si addice alla signora Kellermann.

- Ha quindici anni meno di me, è normale che sia viziato.

Ibat res ad summam nauseam.

- Non saprei, sono figlia unica.

La signora beve un sorso di tè, si asciuga le labbra con il tovagliolo bordato di pizzo, lasciandovi un leggero alone di rossetto rosa perla, e riprende con un sorriso:

- Per tornare ai suoi problemi, da piccolo era molto studioso. Gli piacevano le fiabe e faceva dei bellissimi riassunti: la maestra era orgogliosa di lui, diceva che scriveva molto bene per un bambino della sua età. Era bravo anche in matematica. Alle medie ha continuato a vivere di rendita: riusciva bene in tutte le materie. Alle superiori ha scelto il liceo classico ed era partito abbastanza bene.

- È stata una sua scelta?

- Sì, non lo abbiamo forzato in nessun modo; anzi, mio marito avrebbe preferito lo scientifico. Sembrava che la scuola gli piacesse, ma da un giorno all'altro si è rinchiuso in se stesso, ha cominciato a stare sempre da solo e ha smesso di studiare.

- Perché?

- Ecco il punto: - risponde Michele - non lo sappiamo. È un muro di gomma: a noi dice sempre che va tutto bene, ma è evidente che non è così.

- Non avete pensato di mandarlo da uno psicologo?

- È la prima cosa che ci è venuta in mente, ma lui si rifiuta di andarci: dice che non è malato.

Sulla fronte di mamma Helena, levigata dal botox, si disegna una specie di ruga.

- È cambiato da quando è morto il nonno, il padre di mio marito. Erano soli in casa quando si è sentito male. Emmanuel era molto legato al nonno e vederlo morire dev'essere stato un trauma terribile per lui. Abbiamo sbagliato, non dovevamo buttare addosso a un bambino una responsabilità così grande.

Michele scuote la testa:

- Sono passati cinque anni da allora, mamma, ed è solo da qualche mese che si comporta così. Ci dev'essere altro.

Io qualche idea ce l’avrei, ma preferisco tradurla in una banalità di circostanza:

- Quindici anni sono un’età difficile.

- Sedici: compiuti l'altroieri.

Nato sotto il segno dei Pesci.

- Non ci risulta che abbia la ragazza, se è questo che intendi: non è per questo che è diventato così strano.

Così strano. Sullo schermo della mia mente si proietta l’immagine di una divinità zoo-antropomorfa con gli arti inferiori screziati di tatuaggi, ferraglia pendula al naso e alle orecchie, una cresta arancione eretta sul cranio rasato. Uno strano e gigantesco uccello di palude, con tutta probabilità un sacro ibis.

- È impossibile comunicare con lui: sta troppo poco in casa - aggiunge sua madre, versandomi ancora un po' di tè - Quando arriva da scuola si chiude in camera e ascolta a tutto volume della musica orrenda che lo rintrona completamente. Si mette le cuffie per non disturbare: se lo chiami non ti sente neppure, bisogna scrollarlo. Ma di giorno è quasi sempre in giro con quella specie di cane.

- Ha un cane bruttissimo - dice Michele ridendo - una via di mezzo tra un tapiro e una pantegana.

- Morde?

- No, è mansueto: è la sua unica virtù.

Azzardo un'altra domanda, dalla quale potrebbe dipendere la spiegazione:

- In giro dove? Per Torino?

- No, a mio figlio non piace la città. Se ne va al fiume o su qualche torrente.

Anche questa ipotesi si rivela fallimentare: il ragazzo non frequenta certi ambienti. L'immagine del fratellino incomincia a disegnarsi nella mia mente come un gigantesco punto interrogativo, di cui peraltro non vedo perché dovrei preoccuparmi, dal momento che non mi riguarda.

- Sarai costretta a fare lezione all'aperto - continua Michele, dando già per scontato che io accetti; mi irrita molto che approfitti slealmente della mia attuale posizione di inferiorità - Mio fratello è una lucertola: al primo raggio di sole scappa fuori dalla tana e salta sul suo motorino.

Stempero nella tazzina una serie di considerazioni inespresse. Veramente sono disposti a credere che un ragazzo di sedici anni voglia starsene in campagna a godersi da solo le sue tempeste ormonali?

Michele mi guarda bere un sorso di tè e comprende il mio stato d’animo, ma non mi aiuta ad evadere da quel vicolo cieco. Rivolgo il mio segreto sdegno all’argenteria che brilla sul ripiano di mogano della credenza e torno a concentrarmi sul quadro. Metto a fuoco il dettaglio della rocca di lana grezza, che certamente simboleggia il principio generatore della vita. 

La signora si accorge che sono distratta e perplessa e teme di avere sbagliato tattica. C'è dell'imbarazzo nella sua voce quando riprende a parlare.

- Mi scusi se insisto, Antonia, non voglio assolutamente forzarla. Il fatto è che mio figlio non accetta nessun insegnante privato.

Alzo lo sguardo ad incontrare il suo e replico con calma serafica:

- Dunque non accetterà neanche me.

- Forse con lei sarà diverso: ormai è quasi una di famiglia. 

Sentirmi definire una di famiglia dalla signora Helena mi provoca una specie di shock: l'impressione che provo non è affatto positiva, e questo mi inquieta. Avrei bisogno di restare sola per capire il senso del mio disagio. Poso la tazzina sul piattino con mano leggermente tremante. Lei continua:

- Finora ho preso tempo come ho potuto, ma adesso la situazione è precipitata: mio marito ha intenzione di mandarlo in collegio dai gesuiti. 

- Non mi sembra una buona idea, se ho capito il tipo.

Gli occhi della signora si riempiono di lacrime: mi colpisce la sua angoscia.

- Sono davvero preoccupata, cara, spero tanto che lei possa aiutarmi.

Improvvisamente mi investe una folata di vento bagnato e ha inizio una strana sequenza al rallenti.

La signora Helena lancia un'imprecazione simile al tedesco verdammen, qualcosa di biondo entra nella stanza e si china ad afferrare per il collare uno strano animale.

Voce fuori campo, distorta di una decina di semitoni:

- Metti fuori il cane!

L'animale viene estromesso. La cosa bionda si volta, si volta, si volta in un loop interminabile che mi impedisce di vedere il suo viso. Si toglie un berretto di lana a righe multicolori, scrolla i capelli bagnati, se li asciuga con le mani a testa in giù. Zoom improvviso sul polso destro delicato che spunta da una manica troppo larga rimboccata più volte. La sfinge mediterranea mi guarda sorridendo.

- Saluta, Emmanuel.

Si avvicina a me.

- Antonia?

Il suono del mio nome pronunciato da quelle labbra mi colpisce come se lo sentissi per la prima volta: è severo, arcaico, bellissimo.

Si siede al mio fianco con assoluta naturalezza.

- Scommetto che ti hanno chiesto di darmi lezioni private.

Soggettiva che percorre dall'alto in successione maglione lavorato a mano informe colore indefinibile fili tirati in più punti blue jeans sdruciti scarpe da ginnastica logore slacciate. Mi parla con disarmante dolcezza:

- Non t'invidio, sai? Sono un pessimo studente.

La filatrice mi comunica telepaticamente la soluzione dell’indovinello, ma sono distratta, non colgo.

- Perché?

Rimbocca l'altra manica e sorride. Sorridere così dovrebbe essere proibito per legge.

- Non mi va di studiare cose inutili come il latino e il greco.

Voce fuori campo elevata di alcuni pitch, una specie di squittio:

- Emmanuel, Antonia è assistente di filologia classica a Palazzo Nuovo.

- Ah. - sorride di nuovo - Allora siamo vicini di casa.

Sguardo blu. Non azzurro, proprio blu. Ma chi c’è dietro la macchina da presa?

- Ha ragione - rispondo di slancio. Riprendo subito il controllo per prevenire lo stupore dei miei interlocutori.

- Intendo dire che non ha tutti i torti, nel senso che la scuola di solito li fa odiare, il latino e il greco, e lui è così... 

Così come, Antonia?

- ...così poco in sintonia con quel tipo di studi. - concludo con tono formale. Porto la tazzina alla bocca per riempirla con qualcosa che non siano le mie parole.

- Vuoi dire che potrebbe esserci qualcosa di interessante in quella roba? - chiede il ragazzo, educato.

- Certo che potrebbe.

- Okay, allora proviamoci.

Si è arreso subito: rimango interdetta, ma lui non mi dà il tempo di reagire. Si alza, sorride, mi fa ciao con la mano, apre la porta, prende sotto braccio il suo esemplare di Myacis eocaenicus e scompare in una folata di pioggia. 

L'analista schiocca le dita. Sbatto le palpebre, le pupille si dilatano per cogliere un filo di luce.

- Scommetto che mi stai odiando - dice Michele con un sorriso - Non ti aspettavi certo una cosa del genere.

Ecco la chiave: Atropo, l'assedio della morte, il rischio di spezzare con gesto maldestro il filo delicatissimo...

- No, in effetti non mi aspettavo nulla di simile.

Poso la tazzina sul tavolo:

- D'accordo. Cominciamo domani.