Emmanuel - The broken diary - Fourth Season

1.3. Qualcosa di grigio (Una delle prime giornate di Antonia e Emmanuel)

June 24, 2023 Antonia Del Monaco Season 1 Episode 3
1.3. Qualcosa di grigio (Una delle prime giornate di Antonia e Emmanuel)
Emmanuel - The broken diary - Fourth Season
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Emmanuel - The broken diary - Fourth Season
1.3. Qualcosa di grigio (Una delle prime giornate di Antonia e Emmanuel)
Jun 24, 2023 Season 1 Episode 3
Antonia Del Monaco

Ti piace questo episodio? Do you like this episode?

Emmanuel e il suo cane Tegame sono sulle rive del fiume Po con Antonia, che tenta, senza troppo successo, di fargli lezione di greco. La personalità del ragazzo incuriosisce ed affascina la giovane donna, che non si lascia ingannare dal suo abbigliamento casuale e dimesso e vede in lui una bellezza straordinaria.
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3. Something gray
Emmanuel and his dog Tegame (Saucepan) are on the banks of the Po River with Antonia, who tries, without too much success, to give him a Greek lesson. The boy's personality intrigues and fascinates the young woman, who doesn't let herself be deceived by his casual and modest clothing and sees an extraordinary beauty in him.

Show Notes Transcript Chapter Markers

Ti piace questo episodio? Do you like this episode?

Emmanuel e il suo cane Tegame sono sulle rive del fiume Po con Antonia, che tenta, senza troppo successo, di fargli lezione di greco. La personalità del ragazzo incuriosisce ed affascina la giovane donna, che non si lascia ingannare dal suo abbigliamento casuale e dimesso e vede in lui una bellezza straordinaria.
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3. Something gray
Emmanuel and his dog Tegame (Saucepan) are on the banks of the Po River with Antonia, who tries, without too much success, to give him a Greek lesson. The boy's personality intrigues and fascinates the young woman, who doesn't let herself be deceived by his casual and modest clothing and sees an extraordinary beauty in him.

L'aria, spazzata per tutta la notte dal vento, si è fermata nell'immobilità un po' inverosimile del cristallo: la spugna verde delle foreste sulle montagne lontane è visibile in ogni minima piega; più in alto si staglia, nitida, l'ossatura della roccia. Il fiume si è acquetato in una bonaccia liscia e placida, appena increspata da qualche luccichìo superficiale; di tanto in tanto si accendono nella valle bagliori di specchio.

Seduta sulla sponda, con un libro sulle ginocchia, guardo dall'alto Emmanuel che sulla riva sabbiosa, scalzo, i pantaloni rimboccati fino al ginocchio, lancia pezzi di legno a Tegame; il cane si rizza sulle zampe posteriori per osservare la traiettoria del bastone, poi si tuffa nel fiume, nuota fino a raggiungerlo, lo riporta al padrone e ne riceve carezze e complimenti.

Ora i due sono stanchi: Tegame si scrolla ripetutamente addosso ad Emmanuel, come d'abitudine, e comincia a rotolarsi nella sabbia, arandola con il muso; lui si siede sulla sponda del fiume e mi fa un cenno di saluto, mentre con una mano raccoglie le scarpe da ginnastica e con l'altra si pulisce i piedi dalla sabbia. Gli indico da lontano l'orologio. Annuisce sbuffando e comincia a risalire lungo la sponda.

Lo guardo avvicinarsi in una festa di colori accozzati in modo assolutamente casuale: l'oro dei capelli, il blu degli occhi, la porpora delle labbra sorridenti, le righe orizzontali bianche e verdi della maglietta, l'azzurro dei blue jeans, i quadretti multicolori della camicia del nonno che usa come giacca. A giudicarlo secondo le convenzioni sociali lo si direbbe ridicolo: visto con gli occhi della natura è stupendo. Accanto a lui Tegame, grigio e irsuto, pare il fantasma di un istrice.

Si lascia cadere nell'erba, appoggiandosi sui gomiti.

- Cuccia, Tegame - intima al cane che tenta di asciugarmisi addosso. Lo accarezzo e ripeto l'ordine. L'animale si accuccia al sole ansimando, con la bocca aperta e la lingua penzoloni, una stolta espressione di felicità sul muso. Subito però si alza e si mette a rotolarsi a pancia in su sul cadavere di qualche bestiola, strofinando coscienziosamente la schiena sui fetidi resti decomposti. Emmanuel lo guarda perplesso.

- Secondo te perché lo fa?

- Credo che sia un riflesso condizionato: gli sciacalli si rotolano sulle carogne per mimetizzare il loro odore.

- Quindi Tegame discende da uno sciacallo?

- Eh sì.

- Quante cose sai.

Mi tolgo gli occhiali con gesto professorale.

- Sono nata un po' prima di te. E poi ero una studentessa modello, io.

- Senza allusioni, vero?

- Senza allusioni. Sta' attento, ora lo sciacallo cercherà di trasmetterti il suo mimetismo odoroso strofinandosi addosso a te.

- E perché?

- Perché sei il suo padrone e vuole condividere tutto con te.

- Puah.

Gli lancia un bastone: il cane si allontana di corsa per recuperarlo e ritorna poco dopo con il pezzo di legno in bocca. Si accuccia e comincia a rosicchiarlo, tenendolo fra le zampe anteriori.

- Puzza moltissimo: più tardi lo laverò. E comunque non è uno sciacallo.

Solleva il viso infantile, che il leggero strabismo degli occhi e il broncio del labbro inferiore rendono un po' imperfetto, e perciò più affascinante. Gli metto davanti il libro:

- Hai un quarto d'ora di tempo per ripassare il periodo ipotetico.

- Latino o greco?

- Greco, non vedi? Fra venti minuti esatti ti interrogherò, e se non lo saprai a memoria potrò essere molto vendicativa.

- Cosa mi farai?

- Probabilmente ti picchierò.

Ci pensa su un attimo.

- Potrebbe piacermi.

Mi fa un sorriso sciocco. Lo guardo severamente.

- Senti ragazzo, dobbiamo parlare.

Si volta su un fianco appoggiandosi su un gomito.

- Ti ascolto.

- No, basta. Siediti composto.

Obbedisce e si siede a gambe incrociate.

- Lo sai, vero, che mi stai mettendo in condizione di non poter rispettare gli impegni presi con i tuoi?

- Più o meno.

- Più o meno un corno. Questo non è onesto da parte tua. Non approfittare del fatto che sei simpatico e che mi piace passare i pomeriggi con te.

- Sono simpatico?

- Abbastanza, ma non è questo il punto.

- Sul serio ti piace passare i pomeriggi con me?

- Non cambiare argomento. Non intendo continuare a illudere i tuoi: stiamo perdendo tempo tutti e due, e io ho anche altro da fare nella vita.

- Scusami.

- Non sei scusato. 

- Davvero non mi scusi? Ti giuro che non l'ho fatto apposta, e poi il periodo ipotetico lo so abbastanza bene.

- Non sono cose che si possono sapere "abbastanza" bene: o si sanno o non si sanno. E adesso cerca di fare la persona seria e spiegami cosa non ti piace della scuola.

- Farei prima a spiegarti cosa mi piace.

- Non buttarla sul ridere, non sto scherzando. Non obbligarmi a concludere che sei solo un ragazzino viziato, cosa che peraltro non sembra corrispondere alla tua tipologia di adolescente.

- La mia tipologia. Non sembra corrispondere. Hai un modo di esprimerti raccapricciante, professoressa.

- Allora? Sto aspettando.

Scuote la testa e accarezza Tegame.

- Come faccio a spiegartelo? Non potresti capire, hai una mentalità da prima della classe. Tutt’al più posso descriverti le mie impressioni, se non ti arrabbi.

- Fallo.

- Okay. Freddo, muffa, cantina, ragnatele...

- Continua pure.

- Cadavere, tomba, claustrofobia, un ratto di fogna morto a pancia in su...

- Ho capito, basta.

- Secondo me a voi professori manca tutto quello che serve per essere vivi. Senza offesa, eh.

- Perché dovrei offendermi? Non sono una professoressa. 

- Non capisco se ci siete o ci fate.

- Il gergo adolescenziale con me non attacca: cerca di esprimerti in maniera più evoluta. E piantala con il voi, ti ho già detto che non sono una professoressa.

- D'accordo, professoressa. Provo a riformulare il mio pensiero in modo più evoluto: non capisco se i professori siano così ottusi da pensare che studiare cose inutili sia importante, o se lo facciano soltanto per prenderci in giro. Così va meglio?

- Molto meglio: hai costruito un periodo con cinque subordinate e una coordinata all'interrogativa indiretta.

- Che cazzata: ho detto esattamente la stessa cosa mettendoci più parole.

- La forma è sostanza: un giorno capirai. 

- Vedo che non hai capito, ma era ovvio. 

- Spiegati meglio, magari ce la posso fare.

- Ne dubito. In sostanza, quando sono a scuola mi sento un marziano. Guardo i miei compagni che prendono appunti, fanno domande, alzano la mano per rispondere al posto degli interrogati, e mi sembrano tutti scemi. C'è qualcosa che non va nella mia testa. O nella loro.

È un buffo ragazzo. Lo guardo con la massima severità consentitami dalle circostanze.

- Primo: studiare cose inutili non è affatto inutile, anzi, è un’eccellente ginnastica per i tuoi neuroni, che si stanno autodistruggendo a un ritmo vertiginoso.

- Perché proprio i miei? - chiede risentito. Mi scappa da ridere nonostante tutto.

- Secondo: forse un po' di ragione ce l'hai quando dici che non è essenziale conoscere le lingue morte, anche se per entrare in sintonia con i grandi autori del passato devi leggerli nella loro lingua.

- Eh, vedi? Allora non ho sempre torto. A me non interessa entrare in sintonia con loro.

- Ne riparleremo fra qualche settimana. In ogni caso comprendere le radici della nostra civiltà è fondamentale per capire chi siamo, a meno che tu non preferisca vivere come un bifolco; nel qual caso faresti meglio a darti da fare, perché zappare la terra richiede un certo impegno, specie se si deve mantenere una villa con piscina.

- Grazie di avermi rinfacciato la mia condizione economica. Come se me la fossi scelta io.

- Però non fai nulla per evaderne, giusto?

- Che ne sai? Sto evadendo come posso, dammi tempo: ho solo sedici anni.

- Va bene, vedremo. Sono curiosa di vedere cosa farai a vent'anni: scommetto che ti iscriverai a economia e commercio.

- Mi stai prendendo per il culo, vero?

- No, perché mai? Ma continua pure il tuo ragionamento.

- È finito, non sono un grande ragionatore. Comunque, pazienza gli autori greci, ma come fai a sopportare i latini? È tutto finto, è tutta retorica professoressa: non c’è sangue, non c’è sesso, non c’è emozione, non c'è niente di quello che serve per fare della buona musica.

- Che c’entra la musica con il latino?

- C’entra con tutto.

Chiude il discorso e non sembra volerlo riaprire. Temo di essere stata troppo brusca con lui e cerco di rimediare.

- Facciamo il gioco delle associazioni mentali, ti va? 

- No, è un gioco cretino. 

- Neanche per farmi un favore?

- E va bene, dai: se è per farti un favore...

- Rispondi a bruciapelo, senza pensarci su. Io dico un nome e tu rispondi la prima cosa che ti viene in mente.

- Vabbè, comincia.

- Archiloco.

- Mercenario, scudo, la manina di Neobùle.

- Saffo.

- Donna brutta, il barcaiolo, il salto dalla rupe di Leucade.

- Catullo.

- Passero, Lesbia, Sirmione.

- Lesbia.

- Passeri, baci e sospiri.

- Come immaginavo: è tutto da rifare. Domani cominciamo a leggere l’opera completa di Catullo partendo dal carme novantanove.

- Perché proprio da quello?

- Lo capirai domani.

- Okay. 

- Dovresti smetterla di dire okay: si può dire la stessa cosa in italiano: "d'accordo", "va bene".

- Okay, d'accordo, va bene.

Si distende supino a guardare il cielo facendo il solletico sulla pancia a Tegame, che per un riflesso condizionato comincia a mimare con la zampa posteriore il gesto di grattarsi. Poi butta lì una domanda con tono distratto:

- Di cosa ti occupi esattamente nelle tue dotte mattinate?

- Sto facendo un lavoro che ti sembrerà mortalmente noioso: una collazione.

- Colazione?

- Puoi risparmiarti certe battute, ragazzino: sono vecchie come il cucco.

- Non era una battuta, è pura ignoranza.

- Collazione, con due elle: significa confronto.

- È bello sapere che passi le tue mattinate a confrontare. E cosa confronti?

- In questo momento sto confrontando l'originale greco di un poema astronomico di un tal Arato con le sue tre traduzioni in lingua latina. Trovo interessante la versione di Cicerone: l’ho citata proprio ieri in un articolo sull’uso delle cesure nell’esametro latino arcaico.

- Pubblichi articoli?

- Sì, su riviste specializzate.

- Oh. Allora sei una persona importante.

- Non prendermi in giro.

- E poi? Dimmi, sono tutt'orecchi.

- Poi la mia docente mi ha incaricata di verificare la rispondenza tra la trattazione astronomica di Arato e quella della sua principale fonte scientifica, Eudosso di Cnido.

- E che cosa ne stai concludendo?

- Che Arato era un incompetente.

- Grandioso. E che altro fai nella vita, oltre a scrivere cose completamente inutili?

- Tengo un lettorato completamente inutile.

- Su cosa?

- Sulla struttura metrica della parodia aristofanea di Euripide. Detto così sembra una noia mortale, ma ti assicuro che non lo è.

- Ti credo per fede. Di cosa si tratta?

- Eschilo nell'oltretomba dimostra a Euripide che nei suoi versi ci sta sempre bene una boccetta. 

- Questo sembra già meno noioso.

- Aristofane è un genio.

- Addirittura?

- Sì. Te ne accorgerai studiandolo.

- Sei così brava con la metrica?

- Me la cavo, anche se a dire il vero c'è un verso che mi sta dando dei problemi: mi sembra uno ionico a maiore con anaclasi in ditrocheo, ma non ne sono affatto sicura. 

- È importante saperlo?

- Da quale punto di vista?

- Da qualsiasi punto di vista.

Gli rispondo dopo un attimo di silenzio.

- Nulla è importante, ragazzino. Si muore comunque.

- Proprio perché si muore non bisognerebbe perdere tempo in cose inutili, non trovi?

- Quali sarebbero quelle utili?

- Non lo so, ma di sicuro non queste.

- Coltivare la terra? Guadagnare un sacco di soldi? Fare il volontario della Croce Rossa? Girare il mondo in barca a vela? O cosa? Giusto per capire cos'è importante per te.

- Lascia stare, ho detto una cazzata.

- E poi non vivo solo di questo, faccio anche altro nella vita. 

- Tipo perdere tempo con me?

- Esatto, anche questo. C'è solo una persona che potrebbe convincermi a dedicarmi a tempo pieno alla filologia: lo seguirei anche in capo al mondo, se solo mi dicesse "lascia tutto e vieni con me".

- Gesù Cristo?

- Non sei divertente, ragazzo.

- Non prendere tutto sul personale. Dai, dimmi chi è questo tizio che seguiresti anche in capo al mondo.

- Il professor Mostarda.

- Cosa insegna questo professore, frittura delle patatine al McDonald's?

- Sempre più spiritoso. Il professor Mostarda insegna filologia classica all'università di Lecce ed è un insigne storico dell'antichità. Farei qualsiasi cosa per lui, indagini assurde, ricerche noiose, lavori di compilazione... lavorerei gratis, mi ci trasferirei anche subito.

- Così lontano?

- Sì, senza rimpianti. Restare a lavorare qui non ha senso. 

- Perché?

- Troppo lungo da spiegare. Fidati.

- E mio fratello?

- Tuo fratello mi conosce, capirebbe. Io non sono un tipo mondano, sto bene in mezzo ai libri e ai personaggi del passato.

- Cioè in mezzo ai morti.

- Sono molto più vivi della maggior parte delle persone che conosco.

- Lo sai che hai più o meno gli ideali di una talpa, prof?

- Se la pensi così smettiamo subito: non voglio infliggerti i miei ideali da talpa.

- Ma no, che c'entra: mi fa piacere che mi aiuti, lo vedi che ci sto provando. È solo che, non so come dire, mi riesce difficile collegare una ragazza carina con cose così pallose.

Resto per un attimo interdetta.

- Se voleva essere un complimento t'è riuscito malissimo. Cosa dovrebbe fare secondo te una ragazza carina, l'attricetta in tv? Accalappiarsi un marito ricco?

- Quanto al marito ricco direi che sei sulla buona strada.

- Ora sei offensivo: non ti ha mai sfiorato l'idea che io possa essere innamorata di tuo fratello?

- No, a dire il vero non mi ha mai sfiorato, ma credo che sia perché conosco mio fratello da quando sono al mondo: non è il tipo di cui s'innamora una come te.

Mi alzo di scatto.

- Va bene, basta. Se la metti su questo piano me ne vado, non sono disposta a farmi insolentire da un sedicenne.

- Okay, okay, non te la prendere.

- E piantala di dire okay: sembri la caricatura di Fonzie.

- Chi sarebbe Fonzie?

- Già, che stupida, come puoi saperlo? Dimenticavo che sono un relitto del Giurassico. Alzati, torniamo a casa.

- D'accordo, ho capito, scusami. Mi sono espresso male, ho detto un sacco di cazzate offensive e maschiliste. Volevo solo capire qual è il tuo scopo nella vita, ecco tutto. Ti prego, mi scusi?

Ci metto un attimo a decidere. Poi respiro profondamente e mi risiedo.

- Ho un cervello, ragazzino: perché non dovrei coltivarlo? I maschi lo fanno da sempre e nessuno se ne chiede il perché. I maschi non devono mai giustificarsi. Il mondo continua a pensare al maschile: a parte la maternità, si direbbe che nessun altro tipo di creatività sia concesso alle donne. 

- E le quote rosa?

- Che c'entra? Quelle sono un’idiozia: non è che una donna ha il diritto di ricoprire incarichi politici solo perché è donna. 

- Giusto, concordo.

- Io parlavo di attività spiritualmente elevate: arte, filosofia, creatività non materiale. Hai mai riflettuto sul fatto che l’uomo procede in linea retta mentre la donna ripete sempre lo stesso ciclo? Da una parte la Cappella Sistina, dall’altra i pannolini sporchi da cambiare. Ecco perché la storia è maschio.

- Se ti può consolare, professoressa, io sono maschio, ma di sicuro non lascerò nessuna traccia nella storia. E poi, sai chi se ne frega della storia.

- Tu non fai testo, non sei mica normale.

- Grazie, eh.

- Sul serio: non è per niente normale a sedici anni starsene sempre in giro solo come un cane.

- Con un cane. E poi non è vero che sto sempre solo: se mi invitano da qualche parte ci vado.

- Ma non hai amici.

- Vero: ho solo conoscenti. Sembro scemo, ma la capisco la differenza.

- Cosa c'è che non va in loro?

- È difficile da spiegare.

- Provaci.

Sospira e incrocia le braccia dietro la nuca.

- Mi prendono per il culo. Prima perché ero troppo magro e avevo l'apparecchio per i denti, adesso perché ho i capelli lunghi, non porto i jeans di marca e non mi piacciono le cose che piacciono a loro. Ogni tanto mi danno del frocio. Per loro è un insulto.

- Col tempo ti prenderai delle grosse rivincite, vedrai. Penso che diventerai un bellissimo ragazzo.

- Dici? Può darsi, ma non è che cambi molto. Anzi, potrebbe peggiorare tutto.

- Perché?

- Perché non m'importa niente di quelle rivincite. Quello che gli altri considerano normale a me fa un effetto completamente diverso. Certe volte torno a casa che mi sento tutto ammaccato.

- Ammaccato da cosa?

- Da un sacco di cose. La vita picchia duro su di me.

- Ti capisco.

Si volta a guardarmi.

- Davvero mi capisci?

- Davvero.

Appoggia di nuovo la nuca e sorride.

- Questa è una bella cosa.

- Adesso però studia. Non si costruisce un edificio senza calce e mattoni.

- E se uno volesse costruire un igloo?

Lo fulmino con lo sguardo e gli lascio cadere in faccia il libro aperto.

- Ahia! Ma sei scema?

- Zitto e studia.

Si volta brontolando, si appoggia sui gomiti e s'immerge nel ripasso. Mentre raduno i suoi libri sparsi nell’erba mi incuriosisce la vista di uno spesso quaderno dalla copertina di pelle logora: lo prendo in mano senza aprirlo. Lui mi vede con la coda dell'occhio.

- Me l’ha regalato il nonno - dice - È il mio diario.

- Tieni un diario?

- Per forza: prima di conoscerti non avevo nessuno con cui parlare.

Questo è davvero un bel complimento. Poso il quaderno.

- Puoi leggerlo, se vuoi.

- Ma no, mi sentirei molto indiscreta.

- Per te sono un libro aperto, lo sai.

- Quanto sei scemo, Emmanuel.

Sfoglio il diario provando uno strano brivido. A metà dell'agenda scorgo un brano intitolato "Tegame". Mi appoggio contro un tronco d'albero usando le ginocchia piegate come leggìo e tento di decifrare quella scrittura minuta e aggrovigliata da mancino.

 

Possiedo un cane grigio di nome Tegame. Come cane non vale un gran che: se è intelligente non lo dimostra; è fifone, noioso, inespressivo come un pesce. Fisicamente assomiglia al telaio di una bicicletta. E' disubbidiente e nemmeno poi troppo fedele.

L'ho comprato al mercato di Porta Palazzo, ma ai miei ho raccontato di averlo trovato per la strada. Era dentro a una gabbia, sporco e fetido, insieme con una decina di altri cuccioli tutti più belli di lui. L'ho notato perché, più che un cane, sembrava una grossa pantegana. Guardava inespressivo le persone e quando mi ha visto ha cominciato ad abbaiare. Sono passato oltre per andare a comprarmi un cd, ma al mio ritorno, appena mi ha visto, ha ricominciato ad abbaiare; quando mi sono fermato davanti alla gabbia ha smesso e ha cominciato a scondinzolare: così ho capito che voleva proprio me. Ho dato al venditore tutto quello che mi era rimasto in tasca e me lo sono portato via infilato in un sacchetto di plastica.

Non mi dà nessuna soddisfazione: quando lo chiamo non obbedisce, ruba nei rifiuti, non sa comportarsi da cane civile, mi rosicchia tutto e ubbidisce solo se lo minaccio.

Gli mancano gli istinti più elementari: non fiuta i pericoli, non è diffidente, non si difende, rischia continuamente di finire schiacciato sotto una macchina o sbranato dai cani più grossi di lui, di fronte ai quali non arretra mai; l'ho già fatto ricucire un paio di volte, le sue zampe sono tutte un rattoppo. Ama i gatti, ma i gatti non amano lui: un gatto di strada gli ha diviso il naso a metà e una delle due metà ha rischiato di staccarsi; per fortuna con un cerotto è andato a posto. Ha perfino tentato di allattare dei gattini abbandonati: se li è messi sulla pancia e li leccava come una madre. Per quanto possa sembrare strano, i gattini sono sopravvissuti.

È un cane scolorito e molliccio, ha il pelo unto, opaco e puzzolente; lo lavo spesso, ma è tutto inutile: puzza sempre. Ha gli occhi tondi e vitrei, senza colore; da piccolo li aveva di un celeste magnifico ed erano la sua unica bellezza.

Si è fatto un tesoro personale sotto un albero del giardino: ha raccolto tutte le pigne che è riuscito a trovare, uno straccio, un paio di fondi di bottiglia, un pezzo di carta stagnola e un passero morto; passa metà delle sue giornate a fare la guardia al tesoro e a rosicchiare le pigne. L'altra metà la passa ad abbaiare ai passanti, e sulla schiena gli si rizza una strana cresta di pelo perché ha paura che reagiscano: è uno strano incrocio fra un temerario e un codardo.

È un essere disgraziato che esiste e sopravvive per errore, uno sbaglio della natura: ed è proprio per questo che gli voglio bene. Non mi dà niente, forse nemmeno affetto; ma a me basta vederlo vivere, essere vivo e felice grazie a me. 

Questo mi ha fatto riflettere sul senso dell'amore. Io non m'innamorerò mai di una ragazza bella e fortunata. Potrei innamorarmi alla follia di una donna mediocre, non nonostante quello, ma proprio per quello: per vederla vivere, ridere, essere felice grazie a me.

Sì, ne sono sicuro: se mai m'innamorerò, m'innamorerò di una perdente.

 

Chiudo il diario. Lo osservo a lungo mentre termina il ripasso sdraiato nell'erba, con le tempie appoggiate sui pugni, le ginocchia piegate e le caviglie incrociate. 

È uno strano ragazzo.

Alla fine alza la testa.

- Sono pronto - dice porgendomi il libro.

Mentre lo sfoglio lui si alza e si sgranchisce le gambe saltellando, come per allenarsi in vista dell'interrogazione. Poi di colpo si accovaccia accanto a me e mi dà un bacio sulla guancia.

- Perché? - gli chiedo.

- Così, non c'è un motivo. Sono contento.

- Anch'io. E lo sarò ancora di più quando mi avrai ripetuto a memoria il periodo ipotetico.